arte terapia

Entusiasta di aver partecipato e contribuito a questa sail4Parkinson con Parkinzone Onlus dove ho sperimentato e messo in pratica un attività di arte terapia utilizzando la fotografia.

Ho proposto ai pazienti e ai loro accompagnatori un percorso di condivisione di esperienze, ho raccontato la nascita della fotografia che appena due secoli fa ha rivoluzionato il modo di vedere/osservare il mondo. Ho voluto trasmettere l’entusiasmo e le esperienze di quei pionieri sognatori che hanno trovato il modo di fissare un immagine delle cose e degli esseri che ci circondano. Con questo spirito siamo andati in giro alla ricerca di immagini da catturare, creare, evitando di fermarsi alla superficie delle cose e degli esseri che abbiamo incontrato, ma abbiamo tentato di andare oltre, affinare lo sguardo per cercare sensazioni, emozioni, realtà inaspettate. Il percorso è stato ricco e coinvolgente per tutti, pazienti, operatori, accompagnatori, i risultati semplicemente belli.

Certe sinapsi si attivano in un ambiente dove regna la bellezza, l’amore, un pizzico di follia, un gruppo di persone come un diversamente neurologo Nicola, con la sua cugina Roberta attenta organizzatrice, la compagna Gloria di supporto, un diversamente fotografo me e Silvia la psicologa implicata professionalmente e affettivamente, Giangi la guida e mediatore del mare e della terra sarda, Stefania che con le sue mani ci ha alleviato qualche contrattura, un agriturismo diversamente accogliente come il Ginepro, la tribù dei Modugno che opera in backstage. E’ in questo contesto di donne e uomini più o meno abili più o meno malate, più o meno diversamente diverse, più o meno giovani, più o meno implicate, ma sicuramente e senza retorica umanamente umani, si chiude un cerchio. Un cerchio che si apre, si chiude che accoglie sempre e chiunque, dove la cura é intesa semplicemente come un atto di amore.

dalla mia finestra

Dalla mia finestra è un progetto che è nato nei giorni in cui ci si poneva delle domande su come comunicare e metter in immagini un territorio quando coloro i quali lo vivono non possono più praticarlo.

Da ormai più di due settimane non possiamo più muoverci se non per ragioni di comprovata necessità.

Ci è comunque permesso osservare dalle nostre case attraverso la finestra, dalle terrazze o dai balconi. Questi spazi privati sono diventati subito spazi  vitali per fare musica, cantare, scrivere messaggi con cartelloni o bandiere per comunicare.

ci è permesso  osservare ma anche immaginare, pensare, sognare…

dalla mia finestra diventa un grande laboratorio partecipativo per realizzare un film:

immagini video di pochi secondi che arrivano da tutta l’Italia, immagini uniche, perchè ciò che vedo dalla mia camera da letto o dalla cucina è il mio punto di vista sullo spazio circostante, questo sarà un punto di vista unico e quindi diverso da quello che si trova due piani sotto al mio nello stesso immobile.

Questo è un invito  a dare valore ai vostri punti di vista:

per  partecipare basta mettere il telefono o la videocamera davanti alla vostra finestra, possibilmente in posizione orizzontale, semplicemente perché le immagini cinematografiche sono orientate cosi, selezionate una buona risoluzione sul dispositivo, esprimetevi e condividete su

dallamiafinstra.com

indicate il vostro nome, la vostra posizione ( facoltativo) riempite la liberatoria, caricate il video su una piattaforma gratuita come we transfer

indicando come destinatario la mail

video@dallamiafinestra.com

dalla mia finestra è un progetto di

  

inutilecomunicare.it

 

dalla mia finestra è un progetto che affonda le sue radici in un dispositivo artistico e partecipativo che avevo diretto insieme a Denis Moreau e il Comune di Nanterre nel lontano 2007

OBSERVER LA VILLE

 

 

 

 

 

quand j’etais photographe…

Dopo aver letto l’intervento di Sandro Veronesi sul Corriere della Sera son andato a rispolverare questa foto nei miei archivi: una bambina che guarda un poliziotto. Siamo a Prato primi anni novanta. Ho abitato a Prato dal 1989 al 1996 avevo fondato un agenzia fotografica in società con mio cugino Emiliano Liuzzi.

Questa fotografia la scattai per il giornale Il Tirreno durante uno di quei blitz che le forze dell’ordine effettuavano durante la notte negli “stanzoni” della zona industriale, laboratori tessili dove i cinesi vivevano e lavoravano, quella bambina viveva fra i telai e le bobine di tessuti, probabilmente con i suoi genitori. Nei primi anni novanta il modello industriale pratese con il suo comparto tessile viveva una crisi terribile, non sono molto competente in economia, ma credo che i cinesi in qualche modo son riusciti a risollevare e ridar vita all’industria tessile. Non so se  Prato sia diventata un modello di integrazione comunque quel che racconta Veronesi è molto incoraggiante e ci fa ben sperare. Vorrei immaginare questa bambina di trent’anni fa  con gli occhi spauriti mentre guarda il poliziotto imbarazzato con il mitra ed il giubbotto antiproiettile, oggi un adulto che vive ancora a Prato in una città cosmopolita e accogliente.

Geografie del quotidiano à Romainville

GEOGRAFIE DEL QUOTIDIANO à ROMAINVILLE from MASSIMILIANO MARRAFFA on Vimeo.


voir les images

Cette nouvelle exposition Hors les Murs s’inscrit comme une nouvelle étape d’un projet initié par Massimiliano Marraffa en Italie, qui s’est poursuivi à Romainville où l’artiste était invité en résidence par l’ArtenPartage en octobre – novembre 2016.

La série de photographies et vidéos qui en résulte nous donne à voir des images énigmatiques, traces éphémères de moments de rencontres où s’inscrivent en creux les souvenirs liés à un repas partagé et aux conversations qui l’ont animé, comme autant de paysages du possible…

La rencontre entre ArtenPartage et Massimiliano Marraffa, est apparue comme une évidence et a marqué une étape importante pour l’association. Geografie del Quotidiano, par sa dimension participative, prenait en effet un sens tout particulier au regard de notre engagement pour la démocratisation de la culture et la transmission des savoirs.
Le projet, initié en Italie par Massimiliano Marraffa,   s’est donc poursuivi à Romainville où l’artiste était invité en résidence par ArtenPartage en octobre – novembre 2016.

Il y a un paradoxe dans les images de Massimiliano. Elles puisent dans le banal pour mieux transcender ce quotidien qui devient alors matière vivante, vibrante, expressive, évidente et pourtant mystérieuse.

On cherche à tout prix à identifier et nommer ce que l’on croit reconnaître, transposant ainsi l’espace intime dans une dimension plus universelle, à la façon de métaphores silencieuses, d’analogies énigmatiques. Le regard n’a de cesse d’interroger ces images : s’agit-il de détails ou, au contraires, de vastes panoramas ? Sommes-nous tout près de ce que nous voyons ou, au contraire, très loin ? Nous sommes ainsi emportés du côté de la géologie, de la vue aérienne ou, au contraire, de la macro-photographie. Autant de paysages du possible.

Mais la valeur de ces images peut également être perçue comme toute autre : elles sont aussi, et d’abord, faites de moments de rencontres, elles témoignent d’un partage, d’une commune humanité certes invisible mais qu’elles documentent avec exactitude. Dans ces photographies s’inscrivent en effet en creux les souvenirs liés à un repas partagé et aux conversations qui l’ont animé.

Hélène Masse
ArtenPartage

 

 

 

Exposition du 16/12/2106 au 21/01/2017

Art en partage

57,Boulevard Edouard Branly _ 93230 Romainville

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liberté legalité fraternité

libertéegalitéfraternité

 

J’ai réalisé ces images en réaction à la proposition de l’espace d’art les Salaisons faite aux artistes pour les inciter à contraster l’avancée du FN. Je suis d’accord, il faut agir, vite mais aussi penser à une alternative. En regardant les propositions des partis politiques pour les élections régionales on est déconcerté !
Il n y a rien à voir ! Faut il croire aux propos de Jacques Rancière? «l’élection, ce n’est pas la démocratie» Oui, il faut penser la politique autrement, et les artistes ont sûrement un rôle à jouer. L’image de l’eau qui efface ce qui nous semble être acquis (liberté…) est là pour signifier que nous pouvons les perdre rapidement, sans nous en rendre compte.

à Paris le 3 décembre    2015

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La résonance des miettes

La distance est à jamais infranchissable entre la représentation et le réel mais la tension est maximale qui permet à notre tradition d’exploiter toutes les figures de la présence et de l’absence. Ça ne finira donc jamais?

On connaissait deux manières de mettre le réel en boite. Le passage de la forme est, dans la fraction de seconde, une technique de l’oeil chez Cartier Bresson: c’est la subjectivité du photographe qui produit des effets de vérité à partir d’une opération de capture dans laquelle le monde reste un extérieur objectif. A l’inverse, on peut penser que le réel et l’objectivité sont une sorte de vérité propre de l’image, un travail intérieur à l’image elle-même dans la durée qu’elle instaure (on peut dire alors qu’une image travaille comme on dit qu’un bois travaille). Dans les deux cas, on a pu faire de l’image plus vraie que nature, à force de transfiguration. C’était bien. La « photographie du réel », aujourd’hui, propose-t-elle un retour en arrière, une sorte de néo-naturalisme? Non. C’est plutôt l’idée que la photographie du réel n’est ni dans la représentation de l’authentique, une technique de photographe à l’instantané, ni dans l’authenticité de la représentation, une photogénie auto-référencée en quelque sorte dont on voit bien que la prétention se dégrade aujourd’hui.

On a pu chercher dans la photographie la trace du monde objectif. Puis l’image a élevé une prétention à ériger un nouveau monde objectif. Une autre objectivité dont se réclamait notamment le dispositif proposé par Jean-François Chevrier et James Lingwood (Paris-Prato, 1989, Idea-Books). Habiter les images de Massimiliano Marraffa rappelle d’ailleurs le désordre ordinaire d’un Jean-Louis Garnell (Pluidor, 1987, 54 x 70 cm ; La véranda, 1987, neuf épreuves couleur, 23,5 x 29,5 cm), à ceci près qu’on n’y retrouve ni le même éloignement ni, finalement, cet ordre de mise en scène.

A un autre bout du spectre, les Bruits de fond de Massimiliano Marraffa peuvent faire penser aux Natures mortes d’Yves Trémorin (D’ar ger, Rennes, Musée des Beaux-arts, 1999). Mais précisément, Trémorin assume une recherche «de genre» avec laquelle Marraffa propose de rompre. Trémorin est par ailleurs trop près du sujet qu’il découpe et détache du monde en vue d’ériger «l’être» inanimé de la nature morte.

Plutôt qu’un approfondissement, Massimiliano Marraffa cherche un dépassement de la démarche réflexive propre à ce courant objectivant. Ni retour à l’objectivisme, ni retour aux procédés désormais classiques de l’objectivation, son travail s’intéresse à l’objection qui semble sourdre de la scène elle-même, une sorte de résistance à sa saisie par l’image. Il s’agit, en somme, que l’image retiennent l’objection du monde. Et c’est cette retenue, cette réserve qui est présente à l’image sous l’aspect des restes, des traces. En plus de l’image de la chose photographiée, le cliché représente, par un indice, la résistance de la chose à l’épreuve photographique, à l’épreuve que la photographie est susceptible de lui faire subir. La photographie de Massimiliano Marraffa porte ainsi une attention soutenue à tout ce dont on ne peut précisément rendre compte; elle en cherche, de façon réfléchie, des équivalents fonctionnels, en vue précisément de faire travailler l’image.

La photographie ne représente pas le réel et n’a pas à le faire. Comment jouer alors avec la force de l’image pour attaquer notre perception du monde ? Il faut, nous dit Massimiliano Marraffa, qu’il y ait un lien, intérieur à l’image, avec le dehors de l’image qui devient son révélateur. Les théories de l’information n’auraient-elles pas été plus intéressantes si elles avaient fait du bruit le révélateur du message? La trace humide laissée par l’aubergine sur la plaque du four est davantage que l’aubergine, une scène complète. On est en pleine action. A contrario, je pense aux natures mortes de Point it ®, le «picture dictionary» édité par Dieter Graf Verlag à l’ingénuité déictique si caractéristique.

Dans les photographies de Massimiliano Marraffa, au lieu que tout soit parfait, il faut plutôt qu’un grain de sable interdise de faire la «belle image». Ce faisant, le maculé ou le sale n’ont pas la fonction qu’ils avaient lorsqu’était recherchée une autre objectivité. Finalement, on est pas tant que ça obsédé par la rupture avec la belle image; quand bien même Marraffa aurait grandi dans cette rupture. Il n’y a rien de nouveau à montrer dans le sale, mais plutôt quelque chose à faire fonctionner avec le maculé, qui est du registre de l’action, on l’a dit, mais qui, sortant du cadre, exprime surtout le dehors de l’image. Le grain de sable est souvent littéral: de petits reliefs, les miettes, disent l’action de manger et l’émiettement du repas. On ne déjeune pas, en effet, en dressant simplement une table mais en mangeant, ce que des objets trop saillants, la tasse au premier plan, ne sauraient exprimer à eux seuls.

Laurent Duclos

Sociologue

Bruits de fond 2006_Sans titre, épreuve pigmentaire sur papier mat, 16x25_1/7

 

 

 

 

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Un moment d’éternité dans le passage du temps

140628-00016197

Exposition jusqu’au 27 décembre 2014

Un moment d’éternité dans le passage du temps

La Terrasse Espace d’art de Nanterre

Exposition collective avec Sarkis, Pedro Reyes, Selma et Sofiane Ouissi, Damien Cabanes, Thierry FournierMassimiliano MarraffaCyrille Weiner, Taysir Batniji, Philippe Mairesse -Accès Local, Courants faibles – Liliane Viala et Sylvain Soussan, Krjin de Koning, Chul-Hyun Ahn 

L’espace d’art La Terrasse se trouve sur l’axe de l’autoroute souterraine A14. En 2005 lorsque j’ai commencé à m’intéresser à cet espace cela n’était qu’une friche avec un échangeur  qui sera démoli quelques années plus tard.

La friche est devenue ville et aujourd’hui on expose des œuvres d’art, là où il n’y avait qu’une sortie de secours la numéro 33

Sorties, 2005/2016

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Un moment d’éternité dans le passage du temps
du 4 oct. au 24 déc. 2014 à l’espace d’art de Nanterre
Texte critique par frédéric dumond
matriciel
ce pourrait être un programme, peut-être un manifeste. pas sous la forme d’un texte — encore que la présence des mots soit très significative — mais d’une théorie de pièces. dont la très grande diversité des médiums résonne d’abord étrangement. comme une sortie de réserve. et puis dans le temps — dans le temps passé à lire ces pièces, à les regarder vivre entre elles, se répéter dans le décalage de leurs boucles, s’activer sous nos doigts, ou être là, simplement posées, installées, accrochées — une impression se définit, encore indéterminée puis qui se tend et s’assure la « Réplique n°11 » de Patrice Hamel, la Capula de Pedro Reyes, « Laaroussa », vidéo projetée de Selma et Sofiane Ouissi, les quatre vidéos « D’après Caspar David Friedrich » de Sarkis, sur écran, « un moment d’éternité dans le passage du temps », le film projeté de Nicolas Kozakis et Raoul Vaneigem, les « Tortillons » au sol et les « Cubes » sur socle, sculptures de Damien Cabanes, « Sortie 36/117 », photographie de Massimiliano Marraffa et « Sans titre, de la série la fabrique du pré », de Cyrille Weiner, « Le socle du monde » de Taysir Batniji, « Matrice 2051 », le dispositif de courants faibles, « Fenêtre augmentée », exposition sur tablettes tactiles de Thierry Fournier, et « Flatland », catalogue également pour tablettes, par Thierry Fournier et J. Emil Sennewald, « le modèle de co-création du service Arts Plastiques, de Philippe Mairesse, et sur le toit terrasse la structure architecturale de Krijs de Koning, et dans la vitrine sur la place Mandela, les pièces d’op art de Chul-Hyun Ahn toutes ces pièces sont des premiers jalons pour que commence à se réaliser un désir : que ce nouvel espace d’art contemporain de Nanterre (1) soit un lieu ouvert à tous, un espace-temps de réflexion, de ralentissement, de retour sur soi « heureux celui qui découvre la lenteur de la vie tandis que croule un monde saisi par la frénésie du pouvoir et de l’argent » (2) et que ce soit dans le même temps un espace des traces, un lieu vivant, par le biais d’ateliers, de rencontres, de cours (comme ce sera prochainement le cas grâce à un partenariat créé avec l’université de Nanterre) une manière de donner accès à la pensée, sous toutes ses formes, et de la manière la plus ouverte possible. l’installation architecturale de Krijn de Koning, dont les parois colorées se croisent les unes les autres, crée des lignes de fuite et des perspectives qui sont autant d’axes alternatifs au grand axe de développement La Défense – Nanterre – la Seine. c’est en même temps à dimension intime (les parois colorées comme des cloisons d’intérieur), comme si se superposaient à cet endroit précis des morceaux d’habitats disparus. une intervention à échelle humaine, en contraste total avec les façades-frontières des immeubles qui bordent et soulignent l’axe historique, rejetant le reste du territoire dans un au-delà de traces et de mémoire il est aussi question dans la photographie de Massimiliano Marraffa et dans celle de Cyrille Weiner,  Massimiliano Maraffa cadre ce à quoi on ne prête que peu attention, et qui sont pourtant des signes majeurs de l’aménagement des espaces urbains et péri-urbains (ici, une des sorties de secours de l’autoroute enterrée qui passe sous l’espace d’art) et Cyrille Weiner a photographié l’axe avant son aménagement actuel, quand le terre-plein central était encore une vaste prairie, espace presque à nouveau campagnard. moment oublié, dont on pourrait se prendre à rêver qu’il aurait pu continuer à exister. que, pour une fois, on n’aurait pas cédé à la tentation rendue obligatoire de l’aménagement paysager, mais laissé des rythmes non humains mettre en forme cet espace. aucune nostalgie cependant, juste des signes qu’un autre type de développement aurait pu être les tablettes tactiles, exposition dans l’exposition (et catalogue), présentent un ensemble de paysages augmentés, chaque moment de paysage étant aussi le lieu de sa propre recomposition ou transformation, supports et parties intégrantes des interventions de chacun des artistes choisis par Thierry Fournier dans « un moment d’éternité dans le passage du temps », le film projeté de Nicolas Kozakis et Raoul Vaneigem, c’est dans un paysage archaïque qu’un homme remplit de caillasse blanche des sacs que des ânes transportent ensuite du bord de mer vers la montagne. paysage méditerranéen en noir et blanc. temps lent des hommes et des bêtes, gestes de l’homme au travail, sans doute de l’homme exploité à une tâche sans fin, gestes qui doivent être les mêmes depuis des siècles. homme de somme, dont l’humanité est enfouie à force de ne pouvoir être lui-même « l’existence réduite à la survie peut-elle se contenter des ombres de la vie ? » (3) alors que dans « Laaroussa », Selma et Sofiane Ouissi reformulent de manière extrêmement précise les mouvements et les gestes des artisanes potières qui mettent en forme la matière (ici, uniquement perceptible sous forme de traces d’argile sur les mains des artistes) dans une présence particulièrement saisissante, les couleurs lumineuses de leurs vêtements, l’espace autour des corps, la roche, la lumière, le ciel, tout est gangue pour l’objet absent la gestuelle devient matière, circonscrit l’espace comme une forme, quand chez Sarkis, elle dilue la matière (la peinture, cette fois) dans l’eau, en une aquarelle temporelle qui interprète les couleurs de quatre toiles du peintre romantique allemand Caspar David Friedrich archaïsme, modelage et couleur qu’on retrouve alliés dans les « tortillons » de Damien Cabanes, comme dans ses « cubes », qui sont faits des traces des mains qui les ont formés dans cet ensemble de pièces, c’est le geste qui transmet quelque chose du sens, le geste en train de se faire ou le geste qui a fait c’est-à-dire un geste qui prend le temps de, qui est dans l’attente, aussi, et la répétition pour que ça ait lieu ça étant une forme-pensée, de toute nature, qui émerge sous nos yeux, dans la gestualité, et aussi dans l’écrit, autre élément majeur de la proposition de Sandrine Moreau, directrice de l’espace d’art La Terrasse. l’écrit qui est la matière de la réplique n° 11 de Patrice Hamel, du schéma textuel de Philippe Mairesse — synthèse ontologique d’un long questionnement sur le service arts plastiques de la ville de Nanterre —, et des post-it de Matrice 2051 du collectif courants caibles. chaque type de textualité, de la plus économe à la plus dense, donne forme au processus, c’est-à-dire à ce qui se joue quand on cherche ainsi, discrètement, à la fois au sens commun et au sens où les mathématiciens emploient ce mot (c’est-à-dire quelque chose de discontinu et de fragmentaire), en ayant choisi de réunir toutes ces pièces, Sandrine Moreau crée une syntaxe qui fait circuler le sens de l’une à l’autre. y compris dans des « pauses », comme la capula de Pedro Reyes, espace en suspension, lieu possible de stase pourtant non isolé, où on est traversé par l’espace et les regards, dans la présence continue de tout ce qui entoure pour une exposition absolument ouverte, traversée et pourtant très dense comme une matrice de tout ce qui pourrait venir : un lieu d’art accessible, vivant, populaire, c’est-à-dire exigeant et défendant l’art contemporain (celui d’une pensée en mouvement, et non celui de la transaction) un des lieux — encore possible — de la rencontre et du faire ensemble -— ce qu’ont travaillé sous une forme prospective Liliane Viala et Sylvain Soussan avec Matrice 2051, en convoquant chaque mois depuis entre l’ouverture de l’espace d’art en juin et cette fin d’année civile, des ateliers de recherche et de réflexion avec les Nanterriens qui ressentent le besoin de penser les rapports de l’art avec eux-mêmes et en même temps il y aurait comme une tristesse latente, une mélancolie (?) comme si rien ne pouvait faire le poids par rapport à ce qui vient. une tristesse qui n’empêche pas de tenir, alors que tant de centres d’art sont attaqués dans leur mission, envers et contre tout ce qui est, tout autour. pour paraphraser Pasolini qui lui, parlait de théâtre : l’art facile est objectivement bourgeois, l’art difficile est pour les élites bourgeoises cultivées, l’art très difficile est le seul art démocratique reste à faire en sorte que cela se sache, et que le lieu ne désemplisse pas « bientôt viendra la race humaine qui recréera le monde au lieu de le détruire »
(5) frédéric dumond http://fredericdumond.free.fr/ notes 1. issu de la transformation de la « galerie Villa des Tourelles » en « espace d’art la terrasse », transformation pensée et voulue par la directrice, Sandrine Moreau 2. extrait du texte écrit par Raoul Vaneigem pour « un moment d’éternité dans le passage du temps », le film projeté de Nicolas Kozakis et Raoul Vaneigem 3. Raoul Vaneigem, ibid. 4. Pier Paolo Pasolini a écrit sur les murs du hangar où il joua pour la première fois Orgie : « Le théâtre facile est objectivement bourgeois ; le théâtre difficile est pour les élites bourgeoises cultivées ; le théâtre très difficile est le seul théâtre démocratique. » 5. Raoul Vaneigem, ibid.

>>>>>> on parle de l’ expo ici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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